Belgrado sull'Acqua,quando il genius loci è solo un'opinione obsoleta
Beo-grad, la città bianca, cosiddetta per via delle mura della sua fortezza, ormai di bianco a dire il vero ha ben poco. La dominante cromatica che ne uniforma le facciate e l’atmosfera va dal grigio chiaro al nero fumo.
Per questo ci si domanda per giorni a cosa si riferisca quel colore che è così prepotente nel suo nome ed evanescente per le sue strade, fino a quando non si legge la paginetta della propria guida turistica che parla di kalemegdan, la fortezza turca parzialmente costruita di chiare rocce calcarenitiche.
Pare che Belgrado sia una delle città più antiche d’Europa; distrutta e ricostruita innumerevoli volte si sviluppa nel punto di confluenza tra la Sava e il Danubio, per molto tempo è stata considerata la porta tra Europa e Balcani. I continui sconvolgimenti politici e culturali che l’hanno vista protagonista hanno inciso pesantemente sulla forma del paesaggio urbano cancellando spesso le tracce del passato recente in una corsa a tratti irrazionale al racconto dell’epoca in corso.
Ormai in maniera indiscussa i governi delle città nel mondo e in Europa in particolar modo, nella caccia al turismo e agli investimenti, cercano di comunicare la peculiarità delle loro città attraverso la loro storia, in quanto elemento caratterizzante, distintivo, unico. La specialità dei luoghi è nei dettagli che si sono accumulati su ogni pietra, in ogni selciato, tra le pieghe di parchi o nella forma dei quartieri, nell’unicità della risposta delle popolazioni alle sollecitazioni esterne tradotte in forme urbane specifiche.
A Belgrado come in un assurdo destino che si ripete e riesce a sopraffare la città anche in tempo di pace, un ennesimo pezzo della sua storia verrà spazzato via e se ne perderà la leggibilità e la continuità culturale col tessuto esistente, grazie al progetto di Belgrado sull’acqua.
Un aspetto che lascia interdetti di Belgrado è sicuramente il suo controverso rapporto con i fiumi. Sia la Sava che il Danubio la lambiscono col loro flusso silenzioso e apparentemente lento, sono su ogni lato della città eppure riescono a scomparire mentre la si attraversa. Vaghi scorci rivelatori di questi orizzonti d’acqua e di foreste (nel caso del Danubio) non direzionano quasi mai i passi verso percorsi possibili e piacevoli che rilascino i flussi pedonali nelle poche aree verdi e munite di spazi di sosta lungo il fiume.
I fiumi sono lì ma nella forma della città le infrastrutture costruite in adiacenza alla parte alta (come la stazione o la strada carrabile che corre intorno alla base della fortezza affiancata ancora una volta dai binari del treno) ne interrompono la connessione fisica con il nucleo storico, se non a patto di complicate ricerche di attraversamenti pedonali non segnalati o inesistenti.
Se dal ponte Brankov Most verso la fortezza la passeggiata lungo fiume ha un suo fascino e un suo carattere pur restando raggiungibile solo da alcuni accessi, risalendo lungo la Sava verso il quartiere di Savamala la fitta rete di binari rende praticamente inaccessibile l’area e le conferisce un aspetto dismesso e poco allettante.
In questo brano di città, il cosiddetto Anfiteatro della Sava, che dagli anni Cinquanta ispira innumerevoli progetti di architetti e pianificatori territoriali, si infrangerà una delle ultime possibilità della città di pensare il rapporto con l’acqua in maniera contemporanea, innovativa ma soprattutto sostenibile, mettendola a servizio dei cittadini e dei suoi visitatori, legandola alla modalità formale dell’altra sponda della Sava dove Novi Beograd si approssima al fiume attraverso parchi, spazi verdi e in alcuni casi edilizia a basso impatto visivo o con edifici alti circondati dal verde che lasciano ampie corsie vuote verso l’acqua.
Questo ambito margine liquido della città resterà una ennesima cesura verso l’acqua.
The Belgrade waterfront, una piccola Dubai sulla Sava, che dovrebbe sostituire lo spazio occupato da binari del treno dismessi, relitti arrugginiti di navi, capannoni vuoti da decenni, sarà una nuova città attaccata a Belgrado, con una sua “poetica” formale e gestionale per niente in continuità con la storia e l’aggregazione urbana delle varie parti che costituiscono la città e in qualche modo ne raccontano un percorso controverso ma peculiare.
Nella brochure di presentazione del progetto redatto dalla Eagle Hills di Abu Dhabi, che sviluppa progetti in grado di rendere le città il vanto delle loro nazioni ed è in grado di conferire stile agli stili di vita, al capitolo Ispirato dalla creatività si legge:<< A poet once described Serbia as being “a poem among nations”. This country is home to proud, fiendly and passionate people who are destinguished by their creative spirit>>.
Quanto ci sia di questo paese, “poema tra le nazioni” e della creatività del popolo serbo in questo progetto distribuito su circa 90 ettari, è decisamente arduo da scoprire. Dalle immagini e dai testi si viene catapultati in un sistema spazio temporale fatto di megastrutture scintillanti, enormi outlet, lussuosi bar e ristoranti, decantati spazi verdi decisamente secondari rispetto alle dimensioni volumetriche del costruito, in una scenografia pseudo futuristica “a misura d’uomo” in cui per qualche inverosimile e non spiegata alchimia, si dovrebbero incontrare lungo il waterfront con spontanea naturalezza ogni genere di età e utenza. Non si racconta da nessuna parte da chi verrà mai occupata tanta esuberante quantità di volumetrie; non si fa parola di come si pensa di scongiurare lo svuotamento del centro storico già ora non completamente occupato e bisognoso di recuperi e riusi in grado di tenere vivo il tessuto sociale cittadino; non si spiega come si farà fronte alle necessità di 25 milioni di metri cubi di acqua al giorno o di 100mW di capacità di energia elettrica, come si costruiranno 40 mila posti auto in parcheggi e garage evitando il problema dell’alto livello delle acque sotterranee della zona, dubbi questi ultimi tra quelli sollevati dalla Accademia di Architettura della Serbia.
Non è solo l’Accademia a non condividere il progetto, si sono infatti creati numerosi movimenti cittadini che conducono una battaglia quotidiana anche contro il discutibile e poco democratico metodo di approvazione di questo progetto.
Esso è stato presentato nel gennaio del 2014 dall’attuale primo ministro Aleksandar Vučić, a capo del Partito progressista serbo (SNS) assieme al magnate arabo Mohammed El-Abbar in qualità di partner commerciale con la sua compagnia Eagle Hills.
In quel periodo Belgrado era governata da un consiglio provvisorio a causa della destituzione del sindaco Gragan Dilas. Questo governo tecnico aveva solo il potere di mandare avanti procedure emergenziali, rimandando le questioni ordinarie al momento della costituzione della nuova giunta.
In realtà furono prodotte delle modifiche al piano regolatore cittadino, denominato Belgrado 2021, che vietava l’edificazione di grattacieli nel centro città per tutelare il paesaggio urbano e in riferimento alle previsioni su questo brano cittadino, definiva l’anfiteatro sulla Sava e lo spazio antistante sull’altra sponda del fiume, “area di interesse cittadino” con vocazione culturale e pubblica.
L’annullamento da parte del consiglio provvisorio delle disposizioni del piano regolatore in vigore dal 2003 ha posto l’intera operazione fuori legge, non trattandosi infatti di un campo di applicazione di sua competenza, cioè le misure d’emergenza, ma di ordinaria amministrazione del territorio.
Ad ogni modo nel maggio del 2014 Aleksandar Vučić dichiara il progetto di Belgrado sull’acqua un “progetto di interesse nazionale” e all’interno di tale dicitura rende legali i piani del governo riguardanti aree già regolamentate dal piano regolatore Belgrado 2021, precedentemente non ammessi per legge.
Su questa mancanza di condivisione democratica delle trasformazioni cittadine e sulla mancanza di regolarità procedurale o di legittimità nell’esercizio decisionale da parte del consiglio provvisorio prima e del governo poi, nasce l’iniziativa civica Non soffochiamo Belgrado che in serbo ha il doppio significato di non consegniamo Belgrado (Ne da (vi) mo Beograd).
In realtà la mobilitazione accademica e cittadina non pare avere alcun tipo di risonanza sul governo e sulle sue decisioni. Nessuno ha risposto in maniera coerente e chiara sulla sostenibilità economica e ambientale del progetto.
In una delle ultime assemblee pubbliche, presso la sala comunale, riguardante il piano di governo del territorio, alla quale erano presenti, tra gli altri, gli attivisti di non soffochiamo Belgrado, e i rappresentanti dell’Accademia serba delle scienze e delle arti, si sono contrapposte due modalità di opposizione molto diverse. Da una parte i salvagente e palloncini, portati da Non soffochiamo Belgrado, di cui è stata riempita la sala per delegittimare una riunione organizzata da una commissione operante fuori dalla legge e dall’altra gli architetti e urbanisti dell’Accademia con le loro ventidue pagine di note critiche al piano relativamente agli aspetti ecologici, sociali o di copertura finanziaria che provavano a muoversi sul terreno del buonsenso pur consapevoli della situazione non trasparente.
Quale sia il modo corretto di fermare questo strano processo di riscrittura, poco creativa e molto fuori dai tempi e dalle ricerche contemporanee sul paesaggio e l’urbanistica, non è facile da stabilire.
La sensazione è che non ci sia modo di fermarlo, non con la logica e neppure con lo sbeffeggiamento. Gli interessi economici che stanno dietro all’operazione sono enormi e probabilmente sfuggono ai più.
Belgrado è certo che nonostante la sua decennale esposizione biennale di architettura del paesaggio, la sua accademia, la sua storia, i suoi cittadini desiderosi di progresso e legalità, sta perdendo un’occasione speciale di essere nel flusso delle sperimentazioni paesaggistiche contemporanee cui aspira.