Se la street art in origine è arte di protesta di opposizione al conformismo e all’anonimato in cui i giovani newyorkesi degli anni 70 si sentivano costretti e schiacciati oggi in Italia è spesso espressione di ridefinizione di porzioni di paesaggio urbano, ricollocamento dei prospetti del quotidiano secondo un estetica e un modo di comunicare sempre delle urgenze ma con una più specifica “solidarietà” al luogo urbano in quanto spazio comune, elemento fluido nel quale condividere una storia, un urgenza, un sentimento, un retaggio e non solo un messaggio.
In quei primi anni a New York e poi negli anni Ottanta nel vecchio continente accanto ad urgenze di carattere sociale e politico per alcuni in quella forma di uso della città c’era soprattutto la possibilità di svincolarsi dalla gestione dell’arte nelle gallerie e sotto l’egida, per loro asfissiante, dei critici.
Libera espressione di un arte all’aria aperta e aperta a tutti, fruibile in modo gratuito e illimitato si evolve nelle tecniche, nei materiali come anche nella capacità di generare un flusso di visita e di uso non sempre solo occasionale ma anche organizzato da guide autorizzate al racconto dell’esperienza artistica collettiva, come accade ad esempio a Berlino.

Jorit (October 2021 A. De Comite)

Belin, 3ttman (October 2021 A. De Comite)
Taranto da decenni in prima linea nella rivendicazione del diritto alla sicurezza sul lavoro come anche alla salute, come molte città ha sempre avuto un rapporto ambiguo con la “street art” spesso identificata o purtroppo identificabile con azioni di vandalismo fini a se stesse.
La poesia atavica espressa da una natura prorompente di mare e sole, di acqua surgiva e banchi di tufo sedimentario è stata annientata nell’immaginario collettivo da un’altrettanto prepotente produzione dell’acciaio che ha ricoperto di una patina di carbone e minerale di ferro ogni pensiero, ogni sogno, ogni progetto futuribile, ogni racconto di una storia gloriosa e ricca di cultura, arte, letteratura oltre che di architettura.
L’abbrutimento estetico generato dalla fabbrica negli anni si è appropriato delle comunità, dei quartieri, del mare e complice un urbanistica presuntuosa ha occupato lo spazio urbano e la forma del quotidiano generando rigetto, mancanza di cura, spesso rabbia e distruzione per quanto non viene mai restituito a chi abita questa parte di città.

Helen Bur (October 2021 A. De Comite)

Slim Safont (October 2021 A. De Comite)
In questi mesi a Taranto si è avviato un progetto di grande respiro internazionale con artisti italiani ed europei di fama e grande capacità: T.R.U.st (Taranto Regeneration Urban and Street) che con questa sua seconda edizione torna a dare identità a prospettive inespresse della città dei due mari.
La semplificazione che l’arte riesce a dare di un tema complesso, come la forma urbana e le sue conseguenze, è potente, chiara, riflettente: la profondità di campo data agli anonimi edifici popolari, percorrendo le strade principali da e verso parti di città pensate come prospetti secondari e irrilevanti, è sorprendente. Queste scatole chiamate case popolari che risucchiano però persone reali, famiglie intere, intere comunità in un anonimato pesante e abbrutente. L’idea di cosa sia giusto pretendere dalla propria comunità e cosa no è stata appiattita verso livelli minimi di consapevolezza del diritto all’uso della città, al bello, ai servizi e agli spazi pubblici, alle scuole, alla sicurezza, in una parola alla normalità. In questi ultimi mesi quegli stessi involucri muti finalmente richiamano lo sguardo di chi ci vive e di chi passa sempre distrattamente tornando a casa al sicuro e possibilmente lontano da li.
La sovrapposizione tra le immagini d’artista e le immagini depositate dalla vita quotidiana per le strade e sui muri descrive un nuovo spartito musicale di luce e suoni silenziosi, di assenze e incancellabili ricordi che producono nuovo paesaggio, nuove sfumature di realtà che ci portano ogni giorno un passo più in la verso un futuro possibile che non chiede di cancellare ma di custodire.

Tony Gallo (October 2021 A. De Comite)
Queste scene di vita quotidiana da natura morta (Elisa Cap de Vila) o le allegorie sognanti dai colori prorompenti (3ttman), l’iperealismo (Slim Safont) come le interpretazioni crudamente figurative (Helen Bur) si inseguono nel traveling di una macchina da presa immaginaria e sfondano anonime pareti sulla vita di persone reali, di famiglie che hanno perso qualcosa o qualcuno, di una città che è cresciuta attorno a mura mute di altra origine ma pure capaci di precludere libertà e respiro.
Gli artisti coinvolti hanno iniziato il loro lavoro il 15 Settembre lavorando nei quartieri Salinella, Tramontone, Paolo VI, Taranto Centro, Sottopassaggio Via Ancona e Isola Madre (Belin, Slim Safont, Jorit, Helen Bur, 3ttman, Marta Lapeña, Elisa Capdevila, Lidia Cao, Tony Gallo, Attorrep, Mr. Blob, Stereal, Psiko, Nico Skolp, Carlitops, Kraser) che si concluderà ad Ottobre con Kraser.
Non può l’arte da sola cambiare un paesaggio urbano dimenticato per decenni, prodotto e lasciato deperire senza riaggiornarne le regole formali e funzionali, correggendo gli errori progettuali reiterati ad ogni nuovo quartiere popolare ma ci aiuta a sottolineare chi siamo e da dove veniamo, cosa possiamo chiedere e pretendere ma soprattutto perché.
del piccolo Giorgio non bisogna smettere di lottare e Taranto è ormai simbolo di questa lotta per la normalità che uno stato civile deve garantire a tutti i suoi cittadini senza distinzione e senza far prevalere presunti interessi collettivi legati alla produzione.

Elisa Capdevila, Lidia Cao (October 2021 A. De Comite)